Il monte Cagno e il monte Ocre

Da Rocca di Cambio una lunga salita in cresta.
Giornata luminosa dagli orizzonti vasti, i profili dai Sibillini alla Majella passando per il Gran Sasso, quelli del Sirente e delle montagne del Velino, ce li abbiamo avuti intorno durante tutta l'escursione; poche salite sono così gratificanti. E l'Ocre ha finalmente una degna croce di vetta che lo rappresenta.


Una salita facile ma non banale per riprendere confidenza con la montagna dopo un lungo periodo di assenza, il meteo favorevole e la smania che ormai ci rendeva anche un po’ nevrotici non ci hanno fatto pensare oltre la bella immagine della lunga cresta da salire per cui ci siamo buttati; saremo nelle terre del Velino e naturalmente la proposta è venuta da Marina, obiettivo andare a vedere la nuova croce del monte Ocre; organizzata all’ultimo momento, confidiamo che possa essere un buon viatico per l’anno appena iniziato. Sono le 8,30 del mattino quando raggiungiamo Rocca di Cambio, il paese in splendida posizione assolata si sta preparando per la giornata festiva ed il corso del paese è un brulicare di bancarelle in preparazione, il tempo per trovare un bar per il caffè e risaliamo in macchina, con quella che i paesani chiamano “circonvallazione” aggiriamo il borgo fino alle ultime case in alto prospicenti una grande spianata e delle grosse antenne dove inizia il sentiero. Una palina indica la direzione per la chiesetta degli Alpini, qualche segnale rosso all’inizio e poi più nulla ma la tracia poco evidente si fa subito precisa, imbocca uno stradello che si infila nella pineta e dopo poco minuti raggiunge la piccola chiesetta (10 min.). Oltre il piccolo slargo della chiesetta inizia la traccia che quasi in piano raggiunge in pochi minuti la base della lunga dorsale; con svariate ripide svolte su una tracia che si fa a tratti un po’ scomoda si sale direttamente alla prima croce (+15 min.), semplice e dai grossi bracci legnosi come da tradizione; scoprirò più tardi da un incontro con altri escursionisti che la gente del posto scandisce la salita col numero delle croci, una sorta di via crucis insomma, di appropriazione della montagna, cosa che se non fosse per le belle croci di vetta mi darebbe già un senso di irritazione. Quando si esce in cresta si è già molto alti rispetto alla piana, gli orizzonti si fanno subito lunghi e la catena del Gran Sasso, la lunga linea della Majella, quella vicina del Sirente non ci lasceranno più per tutta la giornata, la quota neve è ovunque molto alta, all’incirca sui 1900 m. il sole a picco e la mancanza di neve rendono il primo approccio di questo 2 gennaio una escursione quasi primaverile. Sul filo della dorsale la traccia è evidente e non esiste segnaletica, si defila già un discreto salto di pendenza da superare e lo si fa scivolando sotto l’evidente costone, attraversando qualche macchia boschiva e piccoli nevai rimasti quasi intatti per via della poca illuminazione che ricevono; si ripete di fatto una uscita su una cresta ancora più ampia, in alto si defila un ulteriore salto e stavolta innevato. In costante e ripida pendenza sono tanti i tornantini che attenuano la salita, ancora una breve e rada macchia boschiva per raggiungere la seconda croce, questa una sorta di piccolo traliccio metallico, quota 1780m. Sui bracci della croce sono stati posti degli schermi rifrangenti, in cima una lampada alimentata da un pannello fotovoltaico per illuminarli presumo la notte; poco più su quello che resta di una capanna in muratura, senza tetto e per questo invasa dalla neve. Ci avviciniamo all’ultimo salto, innevato e con evidenti tracce di attraversamenti recenti, nonostante una discreta pendenza l’attraversamento non risulta complicato se non nel cercare di evitare le pietre a mala pena visibili, che accumulando caldo creano vuoti invisibili in cui sono regolarmente finito. Una volta sopra la pendenza si attenua, la dorsale lentamente si appiana, intorno quota 2000 si iniziano ad allargare i panorami verso l’intera cresta ancora non ben leggibile; si apre su monte Cefalone, su Forcamiccia che apre uno spiraglio sulla arsa e priva di neve piana di Campofelice, su tutto il gruppo del Velino ovviamente. Delle cornici sporgenti sono molto scenografiche, non molto grandi ma accattivanti con lo sfondo che va dal Gran Sasso ai Sibillini, la croce del Cagno si scorge oltre l’ultima breve salita che abbiamo davanti. La bella croce in legno (+2,10 ore) inizia a sentire il peso degli anni che passano, ma rimane per me una delle più belle degli appennini, con quell’orizzonte che si ritrova poi è sempre una suggestione; un centinaio di metri più a nord scorgo una croce ulteriore, non è nuova, non la ricordo, è posticcia, improvvisata, fissata su un omino dove è posta l’immancabile pietra con la scritta della vetta; non riesco a capirne il senso, non c’è dislivello tra l’una e l’altra, la prima è storica e inamovibile, la seconda volerà via con le prime galaverne e i primi venti. Passo oltre indispettito, prossimo obiettivo il monte Ocre che è già in bellissima vista un paio di chilometri più avanti. Il primo tratto della dorsale tra le due vette è in piano e spolverato dalla neve, poco il ghiaccio è una goduria di passeggiata tra orizzonti infiniti, cielo azzurro e sole caldo; quando si inizia a salire per la cima aumenta lo spessore della neve, facile sempre con qualche passaggio tra le rocce che diventa divertente e da guadagnare, a tratti si sprofonda a tratti si aggirano le tante rocce di questo tratto di dorsale, sempre si sta lontani dal filo di cresta; un po' bagnati si raggiunge la vetta (+1,15 ore)dove finalmente vediamo la nuova croce posta lo scorso anno; piccola, in legno (di ulivo direi ma qualcuno mi correggerà se sbaglio), bracci possenti e tozzi, costruita e fissata per rimanere, la mano mi sembra la stessa di chi ha posto quella del Cagno, nonostante sia contrario alle croci in vetta questa (e quella del Cagno) mi suggestionano, mi danno un senso di possenza, semplicità e appartenenza che su altre vette non provo mai. Nonostante la tanta neve riusciamo ad appollaiarci sulle rocce sotto la croce, il sole ci scalda nonostante il vento freddino; tutte le montagne del Velino davanti ci restituiscono ombre e luci forti, una vastità di montagne indescrivibile e quando ti alzi per girarti verso Est lo sguardo raccoglie in un colpo solo profili che vanno dai Sibillini alla Majella; montagne davvero incredibili l’Ocre e il Cagno in queste giornate così pulite e luminose. Ripartiamo dopo una mezz’oretta di pace assoluta, quella che ci è mancata da tanto, troppo tempo; oggi ci è sembrato un miracolo potercene riappropriare e riuscire a tenere lontani i pensieri negativi. Pensiamo al rientro tutto in discesa e ci facciamo coraggio, ovviamente per la stessa via dell’andata, ma già superato il Cagno iniziamo a sentire forte la stanchezza, i due mesi di inattività forzata si fanno sentire; è quando inizia la discesa poco oltre il Cagno che gambe e soprattutto le ginocchia iniziano a “urlare”, teniamo duro, in fondo ci diciamo che rimane poco ma ogni passo è peggio e la piana rimane sempre lontana; le luci del pomeriggio che scaldano gli orizzonti e allungano le ombre ci distraggono di tanto in tanto e ci danno una mano ma quando siamo alla “seconda” croce, (quota 1780 circa) siamo praticamente cotti. Il resto è un precipitare a valle sofferto e lento, ci è sembrato infinito ma nonostante questo riusciamo a goderci i panorami struggenti del pomeriggio che si va inoltrando; magnifica l’infilata della piana fino al monte Tino dai colori caldi e le ombre lunghe. La prima croce, quella dove poi inizia la traccia che scende ripida verso la chiesetta degli Alpini sembra non arrivare mai ma tutto ha un termine e dopo averla raggiunta riusciamo a scendere disinvolti anche le ripide tracce fino alla chiesetta, un vecchietto sulle Alpi mi disse che anche le mucche quando sentono odor di stalla riprendono il passo sicuro e lesto. Oltrepassiamo la pineta e la chiesetta, l’auto (+3 ore) è a poche centinaia di metri, ormai in ombra fitta da tempo; il tempo di cambiarci dagli indumenti bagnati e ci chiudiamo al caldo dell’abitacolo, stanchi ma felici, perché è stata una lunga sgroppata, forse troppo lunga per noi in questo momento, ma quella che ci voleva per restituirci un senso dimenticato di leggerezza e conquista. Bellissima giornata.